Il Circeo nella leggenda e nella storia – Palazzo Caetani

di Tommaso Lanzuisi

Dopo la morte di Alessandro VI (agosto 1503), Guglielmo Caetani, figlio di Onorato III, designato erede universale, rientro in possesso dei feudi aviti. Era stato costretto a fuggire subito dopo la scomunica comminata ai Caetani da Alessandro VI, rifugiandosi a Mantova presso i Gonzaga.

Il 18 Agosto del 1503 moriva Alessandro VI. Appena appresa la notizia, Guglielmo lasciava Mantova a spron battuto e giungeva a Sermoneta accolto dal popolo esultante […].
E finalmente Giulio II (Giuliano della Rovere, 1503-1513), con un Breve del 3-1-1506, permise a Guglielmo di ricostruire e ripopolare questo castello:

«Poiché (dopo la distruzione operatavi da Alfonso D’Aragona) il detto monte, situato sul mare, e divenuto inabitabile a causa dei pirati, che spesso vi sbarcano di notte e vi commettono molte razzie, noi, stimando che, se detto castello venisse ricostruito, si eliminerebbero tante razzie e danni e si apporterebbe non poco vantaggio anche alla santa sede, volendo seguire l’esempio di Sisto IV, nostro zio paterno, il quale reintegro Onorato Caetani, tuo genitore, nei diritti e nella giurisdizione del castello, ti concediamo la facoltà, secondo la richiesta tua e di altri, di restaurare e di riedificare questo castello con la sua arce, come era prima della sua distruzione…»[…].

E subito dopo, probabilmente nello stesso anno, Guglielmo mostrò coi fatti di voler veramente ricostruire e ripopolare il martoriato paese. Si porta a poca distanza dal Promontorio, facendo innalzare il suo padiglione presso la «Fontana della Sorresca», forse nei pressi del Santuario sul Lago di Paola, e nella solennità del luogo, sotto la cupola maestosa della selva, parlò a una delegazione degli antichi abitanti del paese che erano stati costretti ad emigrare a Terracina, a Sermoneta o altrove. Assicuro loro tutto il suo aiuto, la sua benevolenza e generosità e chiese, nello stesso tempo, collaborazione e fedeltà, come in un patto di reciproca assistenza.

Ci resta, di questa scena di sapore biblico, un documento originale in italiano del tempo. Si tratta di capitoli letti e trascritti per mano di notaio. Ne diamo un riassunto ricavato dalla “Domus Caietana” (vol. II, p. 11-12). Guglielmo a sue spese farà risarcire e completare le mura circondanti il castello, in modo che non rimanga rottura e da “possere resistere insemi con gli habitanti in esso da ogni impeto che se li facesse, marittimo e terrestro”. Donerà ad ogni famiglia degli antichi abitanti, ovunque emigrata, che verrà a stabilirsi a S. Felice, un rubbio di terreno in piena e libera proprietà. Darà agli abitanti una tenuta per il pascolo del loro bestiame. Farà ricostruire le mole, alle quali i cittadini dovranno portare a macinare il proprio grano. Da parte loro gli antichi sanfeliciani si impegnano di cominciare ognuno a risarcire e riedificare la propria casa non appena saranno pronte le calcare. 6 e 7) Essi si impegnano a non lavorare altri terreni che quelli del Signore e della tenuta di Palazzo, conducendo le sementi a colonia, secondo le consuetudini della regione. 8) Gli abitanti difenderanno “el monte dai nemici e da ogni angaria”.

«Queste ultime parole – leggiamo nella “Domus Caietana – erano intese come un avvertimento contro i terracinesi ed un ammonimento ad essi. La vicina e fiorente città vedeva con dispiacere sottratta una parte dei suoi abitanti per colonizzare la terra attigua, fuori della propria giurisdizione; da più di sessant’anni quei campi, abbandonati e deserti, erano rimasti aperti all’abusivo godimento dei terracinesi quasi fossero terra nullius; perfino le chiese di San Felice erano state spogliate. L’antica campana, detta la “Squilla di San Felice”, ora chiamava i fedeli dall’alto del campanile di S. Cesario in Terracina ed un’altra era stata collocata in S. Maria Nuova; cosi pure un crocifisso d’argento ed un tabernacolo erano stati asportati. Guglielmo, mentre ferveva il lavoro di ricostruzione, fece valere i propri diritti, e questi sacri oggetti, dopo lungo negare e litigare, finalmente furono processionalmente ricondotti nella nuova cittadella del monte Circeo»

Del «capitolato» redatto presso la Fontana della Sorresca, e di altri che, come vedremo, saranno stipulati nel secolo seguente, probabilmente dopo il passaggio del feudo ad altri signori, si perse la memoria. Neppure nel Capponi ve n’e più traccia. E fu un grave danno, poiché l’Atto di transazione del 1876, di cui ci occuperemo a suo tempo, sarebbe stato senz’altro più vantaggioso per il Comune.

Non siamo in grado di precisare l’entità dei lavori intrapresi e portati a termine da Guglielmo Caetani. Comunque è certo che la vera ricostruzione del paese, dopo le distruzioni operatevi dal primo e dall’ultimo dei sovrani aragonesi, avvenne nel secondo trentennio del secolo seguente, cioè del Seicento.

Guglielmo, rientrato in possesso del feudo avito, dovette preoccuparsi soprattutto di rendere abitabile e sicuro il paese. Non dimentichiamo che su questo aveva finora pesato l’interdetto della ricostruzione e che allora, per la prima volta, per effetto della bolla di Giulio II, quella proibizione veniva tolta. In primo luogo dunque egli dovette pensare a riattare e rendere solida la cerchia muraria; solo in un secondo tempo, probabilmente, poté attendere alla ricostruzione delle abitazioni nell’area interna per i pochi abitanti.

Ma forse si deve a Guglielmo anche un primo nucleo di quello che sarà il Palazzo Baronale, oggi Comunale, intorno alla Torre dei Templari, fortificando e isolando questo punto dal resto dell’abitato, cosi da renderlo sicuro anche nel caso che degli assalitori fossero penetrati nell’interno del paese.

In alcuni strumenti stipulati tra il Duca Francesco Caetani e i nuovi vassalli nel secolo seguente (ad es., in quello con Giacomo Ametrano nell’aprile 1627) si legge: “Actum in dicta terra Sancte Felicis in Palatio dicti Ill.mi et Exc.mi Ducis.. (redatto nella detta Terra di San Felice nel Palazzo del detto I11.mo e Ecc.mo Duca..). La dicitura allude a un Palazzo, che non può essere che quello Baronale e che quindi, almeno nel piano inferiore, doveva esistere, magari parzialmente, sebbene non si possa precisare se sia da attribuire a Guglielmo o ad altri.

Il Palazzo sorge nel punto strategicamente più importante del paese e dove anticamente doveva esistere una fortezza e si appoggia e comunica con la Torre dei Templari e, dietro questa, va a saldarsi in un corpo unico con il vecchio Convento.

L’ultimo piano fu pero aggiunto dal Poniatowsky ai primi dell’Ottocento. II piano superiore della torre e probabilmente opera anch’esso del principe polacco. Termina con un coronamento a beccatelli. Il sistema piombante appartiene al passato. Lo vediamo ancora usato nelle torri costiere, benché fossero in pieno sviluppo le armi da fuoco. Prima il “mastio” terminava con una merlatura guelfa (sulla fronte cinque grossi merli), ancora chiaramente rilevabili, sul davanti e sui lati est e ovest, al limite inferiore del quadrante dell’orologio.

L’orologio fu collocato sulla torre dal Poniatowsky, ma la campanella non rimane esattamente al centro, poiché i piombatoi, in uno dei quali a inserita, sono di numero pari. Ciò ci aveva fatto avanzare l’ipotesi che la costruzione del coronamento e quindi di tutto il piano superiore della torre, potesse risalire a un tempo anteriore. Ma non ci sembra una prova determinante: l’idea di collocare l’orologio sulla torre e quindi di inserire la campanella in uno dei piombatoi potrebbe essersi affacciata solo a lavori ultimati, per ragioni di pubblica utilità.

Probabilmente si deve pure a Guglielmo, se non l’apertura, almeno la sistemazione della Porta ad arco nel lato ovest, dove ancora oggi e l’accesso principale al paese, e dove, anche al tempo dei Romani, veniva a immettere (e immette) la Via XXIV Maggio.

Questa Porta, resa accessibile anche ai carri, era difesa da un Ponte Levatoio. Aveva una duplice chiusura, la prima esterna, l’altra interna, al limite del fornice, consistente in una caditoia, che, una volta calata, sbarrava l’accesso nel caso si fosse riusciti a forzare la prima entrata. Inoltre nel soffitto dell’androne erano praticati dei fori, visibili tuttora, per lanciare proiettili oppure versare liquidi incandescenti contro il imbottigliato tra i due sbarramenti. Ci resta una preziosa testimonianza della fine del Seicento… (“la suddetta Terra e circondata da muraglia e non si puole entrare che da una porta, nella quale e un gran ponte levatore sopra il quale passa¬no tutte sorti di bestie per servigio di essa terra, con ogni commodità” (sic.) (4).

Anche alla metà di questo stesso secolo (a. 1653) abbiamo testimonianza indiretta di questa unica porta in una lettera del Duca Francesco al Governatore di S. Felice: “A Santa Felice non c’e se non una porta…” (5) (C. Miscel. 150, p. 52). e due anni prima questi stesso, rispondendo al Governatore riguardo al pericolo di un assalto da parte dei corsari, scriveva: “Fate star avvertito che si alzi il ponte e pigliateli la chiave della porta, che cosi non c’e pericolo: come la gente non pub uscire, non dubbitate (sic), se fossero 300 Turchi” … (6).

Da tutto questo sembra potersi dedurre che l’altra porta del paese, che guarda verso Terracina, ad arco ogivale, (oggi Antica Porta) doveva essere, se non murata, come sarà in seguito, almeno chiusa permanentemente o quasi, sebbene ciò sembri contrastare con quanto e rappresentato in una pianta urbana del 1680, in cui è indicata con una doppia linea punteggiata, all’inizio e alla fine del fornice. Probabilmente questa porta fu murata per ragioni strategiche, perché lontana rispetto al nucleo fortificato e quindi difficile da difendere in caso di attacco nemico.

Pensiamo all’attribuzione, almeno del piano inferiore, del Palazzo ex Baronale a Guglielmo (oppure agli immediati successori), anche per una innegabile somiglianza della pianta generale di esso con il Castello di Sermoneta (porta con ponte levatoio del paese, lato ovest con torre rotonda all’angolo, lati sud e est, cortile interno, torre dei Templari, piazza attuale del paese sulla fronte e mura perimetrali della “Vigna della Corte”, allora tutto uno spiazzo, senza l’ingombro delle due ali di fabbricati, a nord, costruiti posteriormente). La struttura di questo Castello, come appare oggi, e in gran parte dovuta alle novità apportatevi dai Borgia, tra la fine del quattrocento e l’inizio del cinquecento, e ad esso sembra essersi ispirato anche il progettista del Castello di San Felice.

palazzo-caetani-circeo

Di pianta press’a poco semicircolare, sorge sulle mura perimetrali del paese presso l’angolo sud-ovest, rinforzato da una piccola torre rotonda, e internamente si affaccia su un bel cortile, delimitato, ad est, dalla Torre dei Templari, che qui si eleva in tutta la sua imponenza e, sulla fronte, da un baluardo che da sulla piazza principale del paese, sul quale in seguito fu edificato l’ex Palazzetto Comunale.

Nella seconda metà del cinquecento i Caetani furono i primi a costruire torri di difesa contro i Saraceni, seguiti ben presto da altri feudatari. Ne parleremo tra breve. Nello stesso periodo ottennero (a. 1550) in enfiteusi perpetua il Lago di Paola, appartenente ab antiquo ai Monaci di Grottaferrata. E 15 anni dopo (1565) affrancarono l’enfiteusi, ottenendo il lago di S. Maria o di Paola in piena e libera proprietà. Inoltre, per rendere più unitario il loro dominio anche sul litorale e sul mare dal Circeo a Foceverde, acquistarono (a. 1563) per la somma di 3000 scudi, da Terracina, le dune di Torre Paola fino alla cosi detta “Palizzata”, che segnava il confine della proprietà Caetani con Terracina, ma che già quasi certamente faceva parte del feudo del Circeo. Si tratta dell’incantevole striscia detta “Tra lago e mare”, cioè il tumoleto di Paola, oggetto ancora oggi di proprietà controversa.

Nicolò e Bonifacio Caetani, ai quali si deve la costruzione delle quattro torri alla base del Promontorio, nonché il successore Onorato IV, comandante generale delle truppe pontificie nella gloriosa Battaglia di Lepanto (1571), dovettero provvedere a consolidare le difese del centro abitato, rafforzando la cinta urbana e costruendo anche abitazioni all’interno con l’intento di accrescere la ancora scarsa popolazione, ma senza esiti apprezzabili.

Ce ne da conferma l’anonimo autore della “Origin di Casa Caetani”, già citato:

“II duca Bonifacio si applicò alla restaurazione di quella (cittadina), ma con poco felice risultato, avendo serbato questo onore a un suo successore che, nel 1626, dopo 125 anni dalla sua distruzione, la restaurò con l’evento di buon successo e con speranza maggiore”.

Infatti, alla fine del Cinquecento e agli inizi del seguente, la popolazione del paese era ancora estremamente scarsa.

Nella visita ad limina del 1590 si legge: “San Felice era disabitata; ora vi sono poche persone et vi è un sacerdote che ha cura delle anime e dice Messa in giorno di Domenica e feste”.. Nelle visite del 1592 e del 1601 si dice: “II Monte Circeo non ha abitanti all’infuori dei soldati che custodiscono le torri, costruite per impedire le incursioni dei Turchi; ha una chiesa dedicata a S. Felicita”. (“Mons Circeius nullos habet incolas praeter milites qui turres ad turcarum incursions impediendas structas custodiunt; habet ecclesiam sub invocatione Sanctae Felicitatis”).

Nella visita del 1629: “Il Monte Circeo ha per abitanti soldati; ha quattro torri a causa delle insidie dei Turchi; rimangono le vestigia della antica fortezza distrutta. Ora invece si vedono costruite alcune casette per i soldati. Ha la chiesa di Santa Felicita che il fonte battesimale e il luogo nel quale era conservato l’ olio per gli infermi indicano parrocchiale. Un sacerdote dice Messa nei giorni festivi”. Urbano VIII (Barberini, 1623-1644) – come già accennato, con il Breve diretto al Cardinale Luigi e a Francesco Caetani, Duca di Sermoneta, conferma il Breve di Giulio II e nello stesso tempo rinnova loro la licenza di ricostruire l’antica fortezza, come era prima della sua distruzione. Essi però preferirono, anziché aumentare le fortificazioni, promuovere iniziative commerciali e attirare nuovi abitanti.

Tratto da il Capitalo VIII “Guglielmo Caetani”. IL CIRCEO NELLA LEGGENDA E NELLA STORIA. III edizione di Tommaso Lanzuisi – Tipografia ABC della STAMPA snc, Roma 2006