di Pier Giulio Cantarano, Architetto
Il sito archeologico di Asprano si trova sullo sperone finale di Monte La Difesa, al termine meridionale dei monti Lepini occidentali, a est del territorio di Roccagorga verso il confine di Maenza. Di facile accesso dai due Comuni limitrofi, ne ha seguito le vicende storiche, appartenendo ora a questo ora all’altro. Attualmente, ricade nel territorio rocchigiano per le strutture murarie, mentre le antiche pertinenze agricole e la (o le) necropoli, in quello maentino. Dal sito Roccagorga dista meno di due chilometri e Maenza circa sei.
L’etimologia di Asprano ci rimanda alla definizione che Pierre Toubert ne dà in Feudalesimo mediterraneo – il caso del Lazio meridionale, quando mette in rilievo “… all’interno del cultum, un contrasto fondamentale tra le oasi di produzione intensiva e la massa dei quartieri d’aspretum abbandonati all’arboricoltura secca e a una cerealicoltura di debole rendimento …”. Aggiungiamo una ulteriore indicazione etimologica, immaginando come possa essersi ridotta la prima struttura edificata di cui si conosca l’esistenza, una villa rustica romana, forse già nel Tardo Antico: un luogo rinselvatichito, accidentato, impraticabile, irto di sterpi e rovi (curiosa similitudine con il castello di Monte Asprano a Roccasecca nel frusinate. E con la selva selvaggia dantesca). Insomma, il toponimo sta in quest’ambito.
Tra Terra aspra e Terra arsa si sviluppa così la sua storia, facendone anche intuire una difficoltà di sopravvivenza, soprattutto idrica. Per questo, il successivo monastero si è giovato di due cisterne, fors’anche di origine romana. Ma prima di Roma, il Neolitico, l’Età del Bronzo e l’espansione volsca del VI-V sec. a.C. hanno lasciato tracce anche in questa parte dei Lepini meridionali, non così marginali come si potrebbe pensare. I percorsi e le transumanze provenienti dall’alta valle del Sacco, attraverso Montelanico e Carpineto, trovavano sbocco, con Asprano, verso la fascia centro-meridionale dell’attuale provincia di Latina. L’archeologa Cancellieri ha da sempre considerato determinante la conoscenza della storia del “braccio” settentrionale della Valle dell’Amaseno (con Roccagorga, Asprano e Maenza), per comprendere meglio la strategia militare romana contro i Volsci e Privernum. Come detto, le evidenti tracce romane del sito propendono per l’esistenza di una villa rustica sulla cima del colle, sui resti della quale si sono sovrapposte le strutture del castrum prima e del convento/monastero poi.
Nell’Alto Medioevo la villa, appartenente a qualche aristocratico privernate e ricadente nel Ducato romano, rimane coinvolta nelle guerre greco-gotiche. Tra i motivi di interesse storico-archeologico, si può legare la prima chiesa del sito all’influenza del cenobio benedettino di Fossanova e, successivamente, alla diretta pertinenza del vescovo di Privernum: il primo è l’unico centro di questa parte del Lazio capace di influenzare, o governare, il consolidamento del cristianesimo; il secondo, discende dal controllo diretto, dopo i secoli VIII e IX, del Patrimonio di San Pietro su queste terre. Inutile ricordare che di questo periodo non esiste documentazione scritta. Né ricerche archeologiche.
L’insediamento successivo del Basso Medioevo è invece acclarato dalle rovine attuali e dalla documentazione cartacea. I documenti scritti ne certificano l’esistenza dall’XI secolo: nel 1099 è definita “castellum qui cognominatur asprana” e, poco più avanti, “castro de asprana” (con annessa chiesa di Santa Maria): la sua funzione è quella di proteggere la via da Carpineto, confermata dall’acquisto di questo castrum da parte dei conti di Ceccano nell’ultimo quarto del XII secolo. Asprano è poi nominata in una Bolla di papa Onorio III del 1217, nel testamento del conte Giovanni I di Ceccano e ancora nel 1264. E tuttavia la costruzione di Roccagorga ne mette in luce progressivamente la sua inutilità come struttura difensiva. Da allora, il sito viene citato solo come struttura religiosa. Nel 1348 il cardinale Annibaldo di Ceccano dona “Santa Maria de Sperana” nel territorio di Maenza a un convento di monache. Nel XIX secolo risulta posseduto dagli Agostiniani Scalzi.
Non siamo in grado di stabilire quando il monastero di Asprano sia stato abbandonato: senza ricerche archivistica e archeologica è praticamente impossibile risalire alla sua fine funzionale e all’inizio del suo decadimento fisico. Sin dagli anni Sessanta del secolo scorso il complesso è stato riconosciuto degno di interesse. L’archeologa Valeria Bartoloni ne ha studiato le rovine negli anni Ottanta, rilevando
“sette ambienti, evidentemente costruiti in momenti diversi; inoltre sono visibili i resti di alcuni muri rasati, uno dei quali al centro dell’edificio più grande e altri nel piazzale antistante il medesimo ambiente, i resti di un recinto e due cisterne. Purtroppo lo stato di conservazione in cui si trova questo monumento, coperto da un denso manto di vegetazione e reso parzialmente inaccessibile dal crollo dei muri, non ha permesso la lettura completa dell’edificio”.
Oggi la struttura è quella di un rudere a cui l’edera è tenacemente avvinta. L’interno è regno di specie erbacee e faunistiche endemiche, peraltro un brano naturale incontaminato. Oggi l’amministrazione comunale di Roccagorga cerca di fermare quel degrado, tentando inizialmente la sua acquisizione al patrimonio pubblico, mentre la Fondazione Caetani ha “adottato” il sito, impegnandosi a sostenere con una moral suasion le eventuali future vicende di recupero.