
Nuovo appuntamento con l’arte al Giardino di Ninfa con la mostra installazione delle opere di Carmine Cerbone. “Il cammino inverso” e “Nomadi del volo”. Questi i titoli delle installazioni artistiche che troveranno spazio in alcuni angoli del giardino e che sorprenderanno i visitatori fino al prossimo 31 ottobre. Le due opere sono frutto del lavoro dell’artista pontino, ex docente del liceo artistico di Latina e che ha avuto esperienze didattiche con Achille Bonito Oliva e Massimo Bignardi.
Le opere secondo la descrizione di Claudio Futmani, curatore dell’esposizione.
Il cammino inverso
Hernest Hemingway una volta scrisse: “È andando in bicicletta che impari meglio i contorni di un paese, perché devi sudare sulle colline e andare giù a ruota libera nelle discese”. Ed è proprio un viaggio su due ruote, quello che Carmine Cerbone ci invita a fare con l’installazione “Il cammino inverso”. Una pedalata a ritroso che ci riporta indietro nel tempo, quando la bicicletta non era solamente un mezzo di trasporto ecologico per spostarsi da un punto all’altro, ma un’appendice del corpo e dello spirito dei nostri genitori, o dei nostri nonni. Attraverso l’arte, queste biciclette portano a noi il ricordo di chi le possedeva, di chi le utilizzava per trasportare attrezzi, bagagli e arnesi di ogni tipo in un’Italia contadina, semplice, dove una vecchia valigia o una tromba rappresentavano l’essenziale, tutto ciò che occorreva per esplorare il mondo. Così, una bicicletta, un oggetto immutato nei secoli, ci ricorda come nulla sia immobile, e nello stesso tempo come la poesia delle piccole cose sia dolcemente eterna. Invisibile. Racchiusa nel respiro che accompagna ogni nostra pedalata verso l’orizzonte.
Nomadi del volo
C’è qualcosa di volutamente statico nel termine “installazione artistica”: come di qualcosa che si stanzia all’interno di uno spazio circoscritto, per poi de-installarsi dopo un certo lasso di tempo. La sua “presenza” può essere più o meno in armonia con il contesto in cui si situa, ma la sua funzione è sempre e comunque quella di affermare sé stessa, in quanto figurazione del bello, in quel determinato contesto. La sua ragion d’essere si risiede nel suo trovare senso all’interno di uno spazio, ma nel momento in cui vi abita essa si completa: l’opera d’arte, nella sua interezza, è lì, concettualmente perfetta. Gli uccelli bianchi di Carmine Cerbone ben poco si adattano a questa idea di installazione artistica. Questi centinaia di gabbiani, appollaiati sul bordo di un pozzo o sulle rive di un lago, o ancora al sole di un verde prato, sono la testimonianza di un’arte che alla staticità preferisce il nomadismo. Per questo è forse più esatto definire “nomadi del volo” una “performance” artistica: la “performance” di una natura morta che ci invita a seguirla nel suo migrare, nella sua eterna temporaneità. A vederli tutti insieme, questi uccelli bianchi, ancora schierati all’interno dello studio artistico di Cerbone, viene da pensare al grande esercito in terracotta posto a guardia della tomba del primo Imperatore cinese. Ma se i guerrieri di Qin Shi Huangdi esprimono la loro mistica presenza attraverso una performatività che si manifesta nella quiete di un’antica tomba, i nomadi del volo affermano la necessità di un continuo dinamismo. Come fossero delle creature viventi, la loro presenza su un territorio è determinata dalle condizioni del luogo piuttosto che da criteri artistici di collocazione: è un passaggio, una sosta da un viaggio di cui non ci è possibile avere la perce-zione completa, ma che possiamo scegliere di inseguire. In questo modo, anche l’osservatore si fa nomade, avventuriero, poeta alla ricerca di un momento di contemplazione del bello, prima che esso fugga via.