I disegni di Gelasio Caetani sul “castrum” di Maenza 

[vc_row type=”in_container” full_screen_row_position=”middle” scene_position=”center” text_color=”dark” text_align=”left” overlay_strength=”0.3″ shape_divider_position=”bottom”][vc_column column_padding=”no-extra-padding” column_padding_position=”all” background_color_opacity=”1″ background_hover_color_opacity=”1″ column_shadow=”none” column_border_radius=”none” width=”1/1″ tablet_text_alignment=”default” phone_text_alignment=”default” column_border_width=”none” column_border_style=”solid”][vc_column_text]di Francesco Tetro, architetto e storico dell’arte, Direttore del Civico Museo del Paesaggio di Maenza

I disegni di Gelasio Caetani sul castrum di Maenza (dai primi anni Dieci del Quattrocento passato ai Caetani  per il matrimonio di Francesco III Caetani con Margherita De Cabannis) vennero realizzati per illustrare vari capitoli della sua imponente Domus Caietana (San Casciano Val di Pesa, 1927-1933). Il complesso progetto sottolinea la cultura medioevalista che fu anche alla base del restauro del castello di Sermoneta, il cui cantiere, vide infatti Gelasio procedere a evidenziarne gli aspetti strutturali e tipologici. Gelasio, che era legato alla matrice storicistica aderente alla cultura del ripristino stilistico, così come era stata codificata da Viollet-Le-Duc, ed affine alla cultura neo-medievalista espressa del movimento pre-raffaellita, assomma in sé due culture: quella umanistica ed internazionalista del creativo ambiente di famiglia e quella scientifica delle scelte professionali (laurea in ingegneria civile e specializzazione in ingegneria mineraria).

Cultore dell’antico, progettò e restaurò anche il complesso delle rovine di Ninfa, la “Pompei del Medioevo” come l’aveva definita il Gregorovius, esponente di quella cultura cui si deve anche la dimensione letteraria dell’abbandono delle strutture antiche. I disegni di Gelasio, meticolosi per la volontà di rendere riconoscibili oggetti e luoghi, sono caratterizzati da opportune e suggestive scelte prospettiche mai banali, e con evidenti concessioni alla matrice letteraria simbolista. E’ probabile che la scelta del disegno, preferita alla fotografia, scartata questa forse per l’apparente pragmaticità offerta da quel tipo di registrazione del vero, sia stata motivata da un approccio artigianale al tema del restauro, fatto di verifiche e di ripensamenti, legati a scelte di cantiere, ma anche suggeriti da un approccio intimista che lo vedeva prendere appunti anche in particolari ore della giornata.

Di Gelasio si apprezza la sensibilità del segno grafico, come se questo accompagnasse una registrazione-progettazione di cantiere non aprioristico-pragmatica, ma cercata, espressa e messa in discussione caso per caso. Oltre che a sentire il dovere morale di documentare i fasti della sua famiglia, ripercorrendo e ricostruendo, anche attraverso le illustrazioni che avrebbero accompagnato la lettura della Domus, non si può non pensare al ruolo della madre, l’inglese Ada Costanza Bootle Wilbraham degli Earl di Latham (1841-1934), animatrice della cultura della memoria, sensibile al valore romantico delle rovine, scenario di un vivere moderno memore di un millenario vissuto e del mistero del passato. Cultura del verde e dell’abbandono di vita che, proprio per tale ‘svuotamento’ di attività e di esistenze (ma ci sono ancora invece, seppur invisibili e dialoganti con chi ha la sensibilità per entrare in sintonia e comunicare con loro), assumono un valore indefinibile, anche per Gelasio, se ebbe a suggerire per un habitat osservato e fissato graficamente, l’aggettivo ‘incantato’. Emozione quindi, seguita da un amore e da una dedizione ad affrontare il complesso progetto di sistemazione archivistica, di scrittura e illustrazione di plurisecolari vicende, di restauro degli immobili, attraverso la provocatoria scelta che sia lo stesso cantiere a confermare l’acquisizione delle conoscenze del monumento e ad attivare le soluzioni più adatte ad interpretarne la vicenda.

Per i disegni relativi a Maenza, Gelasio sceglie l’inquadramento prospettico, la visuale che rende evidente la teoria di Viollet-Le-Duc, volti ad esporre l’integrità stilistica e la compiutezza formale del manufatto monumentale. Sono privilegiate le vedute d’insieme, prima di calarsi in una realtà “filologico-documentaria”: ecco Porta principale di Maenza, ovvero la Loggia dei Mercanti, più nota come Piazza Coperta e La Rocca di Maenza, vista dalla Piazza della Portella – l’antica porta di cui restano deboli resti archeologici interrati – disegni che rappresentano l’espressione massima di un preciso periodo storico e comunicano il momento stilistico, l’espressione formale unitaria del costruire tra il XIV e il XV secolo. Ecco la ragione dello scorcio che permette a tutti gli elementi formali presenti di concorrere a definire l’immagine totalizzante. Gli altri disegni si riferiscono alla dimensione filologica del progetto illustrativo: Stemma Caetani nell’atrio della rocca di Maenza, ritenuto da Gelasio errato per le onde parallele e orizzontali, contro quelle esatte parallele oblique dei Caetani di Sermoneta, di cui suggerisce perfino la forma della curvatura (si trattava però dello stemma dei De Cabannis caratterizzato dalle onde orizzontali parallele) ed infine il Sigillo di Francesco Caetani di Maenza, collocato all’interno di un capolettera.

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