di Lauro Marchetti, Direttore del Monumento Naturale regionale “Giardino di Ninfa” e Segretario generale della Fondazione Roffredo Caetani
Chi si avvicina a Ninfa, percorrendo l’omonima strada, difficilmente immagina di trovare quel che visiterà poco dopo, tanto sorprendono e si diversificano l’ambiente esterno e quello interno. Il carattere forte mediterraneo della collina lepina, arida e rocciosa, domina dall’alto, ma già poche decine di metri dopo l’ingresso nel giardino, si avverte un mondo capovolto: verdissimo, pieno di acqua, fresco e rigoglioso dove la vegetazione non sembra voglia contenersi in una sua corsa verso l’alto: Sono Lecci, Platani, Cedri, Pioppi e tante altre specie sono cresciuti in meno di novant’anni, quanto le stesse piante del circondario sono cresciute con il doppio o il triplo del tempo. Quel che più sorprende è l’adattamento delle migliaia di piante messe a dimora dalle tre nobildonne Caetani, Ada Wilbraham, Marguerite Chapin e soprattutto l’ultima, Lelia Caetani, in oltre quarant’anni di sapienti piantagioni e geniali intuizioni. Le origini delle piante sono lontane o lontanissime da dove ci troviamo: provengono dagli altipiani del Messico o dall’Himalaya, dalle secche pianure australiane alla impenetrabile giungla amazzonica, dalle dolci colline giapponesi alle coste orientali degli Stati Uniti o al Canada i cui aceri dagli straordinari colori autunnali si ripetono nel microclima di Ninfa.
La condizione che consente tale miracolo è la regina di tutti gli elementi, l’acqua, la cui nascita presenza si nota proprio ai bordi del giardino, dove viene alla superficie dopo un lungo percorso nei freddi meandri calcarei dei porosi, carsici e vicini monti Lepini. Cristallini ruscelli di acqua purissima, che incantò Plinio il Vecchio, su un fondo di verde surreale e in un continuo ondeggiare si riversano producendo suoni durante la corsa e radunandosi nel fiume Ninfa. La preziosa sorgente ha richiamato nei secoli innumerevoli famiglie contadine, di artigiani, commercianti, di pontefici e nobili casati che hanno ampliato il borgo fino ad assumere il rango di castrum medioevale con proprio municipio fino al 1382.
I ruderi che oggi ci affascinano, sono usciti da un letargo di secoli e di abbandono grazie all’opera restauratrice di Gelasio Caetani che ha creato, intorno al 1920, la premessa della rinascita. Le rovine sono state il teatro che ha ospitato il giardino nello stile romantico di britannica concezione che vediamo oggi. Esse, permettendo infinite soluzioni di arredo utilizzando piante di pregio, sono le indiscusse protagoniste del riscatto della vita contro gli orrori di un antico passato, testimoni silenziose che da guerre e pestilenze di allora sono state come rivitalizzate dalla cura e dalla bellezza di oggi, in un connubio sapientemente dosato grazie all’accurata gestione della Fondazione Roffredo Caetani.
Il commento che più ricorre, dai semplici curiosi agli appassionati, fino ai gruppi di specialisti come i dendrologi e direttori di giardini di mezzo mondo, è l’unicità che deriva dalla combinazione di storia e rovine monumentali e la grazia di una squisita arte giardiniera. E davvero l’immagine del Grand Tour. Un ulteriore contributo viene dalla voce della natura, che fa ascoltare le più di cento specie di uccelli, dalle cince al barbagianni; che mostra gli insetti, dalla farfalla podalirio al maggiolino e altri animali; dallo scoiattolo alla donnola. Tutti contribuiscono a rendere più vivo e interessante il giardino e tutti concorrono alla salute dell’ambiente dove i veleni chimici sono lontani, anzi sconosciuti.
La gestione oculata delle visite, fin dall’inizio delle aperture pubbliche dai lontani anni Trenta del Novecento, ha preservato ancor di più il delicato equilibrio del giardino e conferito quell’atmosfera indefinibile di pace e serenità che è alla base dell’apprezzamento riconosciuto e affermato in tutto il mondo, e di cui rendono annuale testimonianza i riconoscimenti che vengono riportati dalla stampa internazionale che parla di Ninfa come del “più bel giardino del mondo”.